Lo statuto della parola e del silenzio nell'occidente
Nella società occidentale il silenzio è una condizione al tempo stesso ambita e problematica, auspicabile e pericolosa.
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Tutti si preoccupino – ebbe a scrivere Ignazio di Loyola, quasi tirando le fila di una imponente tradizione religiosa – di custodire con ogni diligenza le porte dei sentimenti, e particolarmente le orecchie e la lingua, stando sempre attentissimi a quando convenga e sia lecito parlare. Dai tempi dell'imperatore bizantino Costantino VII Porfirogenito a quelli in cui prosperarono le città comunali italiane per giungere alla piena età moderna, secondo linee di continuo recupero, riscrittura e riadattamento delle opinioni espresse dagli autori antichi, si è registrato un fitto intrecciarsi di imposizioni volte a limitare la parola e a distinguere tra i silenzi ammessi – o addirittura imposti – e quelli vietati. Il monarca, il podestà, il giudice, il confessore, il “buon cittadino”, il giovane bene educato... tutti costoro sono stati vincolati a rigide norme vocali. Roberto Mancini identifica le tracce più significative e si sofferma sui nodi principali di questa lunga “storia del silenzio” (e sul suo necessario corollario: il calibrato uso della voce) sino al XVII secolo decifrando alcuni meccanismi di funzionamento del potere i cui riverberi, dal cuore dell'età moderna, sono ancor oggi avvertibili.
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Testo a stampa (moderno)
Monografia
Codice SBN
VIA0094314
Descrizione
I *guardiani della voce : lo statuto della parola e del silenzio nell'Occidente medievale e moderno / Roberto Mancini ; prefazione di Sergio Bertelli Roma : Carocci, 2002 173 p. ; 22 cm.